Domenica 26 maggio prosegue a Tarcento la rassegna «Concerti di Primavera», con un appuntamento dedicato alla musica francese e italiana. Protagonisti saranno la violinista Giulia Freschi, l’arpista Paola Gregoric e il pianista Bruno Sebastianutto, che si esibiranno nella sala della villa settecentesca De Rubeis Florit. In programma musiche di Henriette Renié, Germanie Tailleferre, Jules Massenet e Ferruccio Busoni.
Omaggio a Ferruccio Busoni
Ricorre quest’anno il centenario della morte di Ferruccio Busoni, compositore e pianista italiano, nato ad Empoli nel 1866 e morto a Berlino nel 1924. Musicista ecclettico, fin dalla giovinezza Busoni fu influenzato da molteplici linguaggi compositivi. Da una parte Bach e la sua predilezione per una forma maestosa e monumentale, che vede la sua massima concretizzazione nel contrappunto, dall’altra i grandi compositori romantici e tardo-romantici, tra cui Beethoven, Liszt e Brahms. Durante i suoi viaggi, intrapresi fin dalla fanciullezza sotto la guida dei genitori, entrambi musicisti professionisti che curarono la sua formazione, Busoni fu in contatto con molti esponenti della musica tardo-romantica, da Čajkovskij a Sibelius. Questo carattere internazionale lo portò ad esibirsi e ad assumere incarichi di insegnamento in Germania (Lipsia, Berlino), Russia (Mosca), Finlandia (Helsinki), Svizzera (Zurigo) e Stati Uniti d’America (Boston).
Negli anni ‘10 del Novecento Busoni si avvicinò notevolmente all’espressionismo, interessandosi in particolare all’opera atonale di Arnold Schönberg. Come il compositore viennese Busoni può essere per così dire definito un “rivoluzionario conservatore”. Partendo dal contrappunto bachiano e dall’estetica musicale classica, Busoni elaborò un linguaggio nuovo, da lui chiamato «junge Klassizität», ovvero «nuovo classicismo». Per Busoni la musica di Bach è qualcosa di sublime. Egli vede nel contrappunto la base di un «buon edificio tecnico» e non considera Bach un genio superato, ma anzi un trampolino di lancio verso nuove modalità espressive, un collegamento tra passato e futuro. Busoni non abbandona l’impianto tradizionale, la tonalità, ma ne esplora tutte le sfumature. La sua curiosità lo porterà negli anni a spingersi verso ricerche estremamente innovative, sui quarti e terzi di tono, che verranno analizzate nel saggio Su una nuova estetica musicale (1906), con cui apre uno spiraglio verso la musica elettronica.
La Prima Sonata in mi minore per violino e pianoforte n. 1 op. 29 che chiude il concerto di Tarcento si inserisce nella produzione per violino di Busoni, i cui lavori più significativi sono il Concerto per violino op. 35 e la Seconda sonata per violino e pianoforte n. 2 op. 36a, da lui considerato uno dei suoi primi lavori maturi. In questa fase della sua produzione, modelli indiscutibili sono i grandi maestri tedeschi Bach, Beethoven e Brahms. L’influsso bachiano è evidente nell’uso del fugato e del contrappunto e nelle numerose citazioni e autocitazioni presenti all’interno delle opere, secondo il principio della «parodia» tanto caro a Bach, come nella variazione del Wie wohl ist mir che chiude la Seconda sonata. Accanto a Beethoven, riferimento privilegiato è Johannes Brahms, conosciuto personalmente a Vienna, in particolar modo per lo stile tardo-romantico che contraddistingue le sue opere. Interessante è il riferimento al Concerto per violino in re maggiore op. 77 del maestro di Amburgo, composto nella stessa tonalità dei concerti di Mozart, Beethoven e Čajkovskij, per il quale Busoni scrisse una cadenza.
Opera giovanile e poco eseguita, la Prima Sonata per violino e pianoforte op. 29, scritta nel 1890 e dedicata ad Adolf Brodsky, fu presentata insieme ad altri lavori al concorso di Mosca dedicato al pianista e compositore Anton Rubinstein. È un’opera interessante che accanto a una fitta trama contrappuntistica presente soprattutto nel primo e nel terzo movimento, contiene frasi estremamente melodiche e liriche tipiche dello stile tardo-romantico, le quali sembrano risentire dell’influsso del melodramma. A caratterizzare il primo movimento, Allegro deciso, sono temi ritmati e puntati che conferiscono un carattere «dramatico» al pezzo, alternati a momenti più sospesi, dilatati e lirici, presenti nell’esposizione e nella ripresa, costruite simmetricamente con un vivace finale. Nella parte centrale si lascia spazio a un’ampia elaborazione, in cui vengono introdotti degli elementi nuovi dal carattere imitativo. Il movimento si conclude con un Poco sostenuto che conduce alla coda conclusiva. Dal carattere sospeso e sognante è il secondo movimento, che si apre con un Molto sostenuto, quasi in forma di recitativo. Nel Più lento, Andante sostenuto si lascia spazio a linee plastiche di ascendenza per così dire wagneriana. Nella seconda sezione del movimento, si ritorna al Molto sostenuto, che prosegue poi con altre idee tematiche. Conclude la sonata il terzo movimento, Allegro molto e deciso, che si apre con un tema impetuoso, quasi violento, ricco di sforzati e accordi strappati del violino su un tappeto di crome ritmiche del pianoforte alternate a successioni di terzine in andamento imitativo con il violino. Dopo un tema ritmato si lascia spazio al «dolce», un delicato tema affidato al violino. Una progressione ascendente arricchita da scale veloci del pianoforte conduce quindi a una nuova sezione che sfocia in un nuovo tema. Si arriva così all’elaborazione, dove è riproposto il motivo a terzine a cui segue una sezione di sforzati che passano dal violino al pianoforte. Il tutto conduce a un tema sospeso, quasi in tensione e alla sezione «in frischem Tempo». Dopo una improvvisa virata a do maggiore, si torna all’atmosfera di sol minore, che anticipa il «nicht schleppen», un tema più calmo ma cupo. La tensione continua fino al «Tempo Primo», che in un progressivo crescendo conduce alla ripresa. Come nell’esposizione, troviamo qui il motivo a terzine, la sezione tematica del «dolce» e il terzo tema con l’indicazione di «sempre pianissimo». La coda, piuttosto ritmata e movimentata, viene anticipata da frammenti tematici sospesi, in un incalzante finale «Con fuoco».
Giulia Freschi